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“I panni stesi” – recensione di Mariachiara Catillo

Mariachiara Catillo studia nella Facoltà di Lettere e Filosofia a Tor Vergata, fa parte del corso di laurea in Scienze dell’informazione, della comunicazione e dell’editoria e sta svolgendo il tirocinio nella nostra realtà.

Ci ha raccontato così la sua esperienza dopo l’ultima lettura de “I panni stesi” prima della stampa.

Ti piace quando si muove l’aria. Certo non ami le tempeste, ma ti piace come il vento agita le cose, come dà vita ai panni stesi da tua madre.

Rosetta è giovanissima quando rimane incinta di Agnese. La maternità precoce e la solitudine la consacrano interamente a questa figlia che diventerà, da questo momento in poi, l’unico affetto della sua esistenza. Ma Agnese cresce e non desidera che fuggire da un legame che ormai sente asfittico, così alla prima occasione si separa dalla madre e la esclude dal suo nuovo e promettente futuro. Solo la disfatta lavorativa e sentimentale, a cui si aggiungerà la diagnosi di una malattia inesorabile, la ricondurrà molti anni dopo alla casa materna. Con le inattese avversità da affrontare, questa nuova e complicata convivenza tra Rosetta e Agnese sarà in grado di riaprire uno spiraglio nel loro rapporto, facendo emergere verità taciute e ferite mai sanate, ma soprattutto dischiudendo, nel dolore quotidiano, la forza di un amore che accoglie e protegge, senza chiedere nulla in cambio.

Cosa ha a che fare tutto questo con il titolo I panni stesi?

È la stessa autrice, Anna Palma Ruscigno, ad averlo spiegato durante la presentazione del suo libro al Salone del Libro di Torino 2023 organizzata dalla casa editrice Gemma Edizioni: «Per me i panni stesi hanno sempre rappresentato un’immagine di serenità. Ho sempre pensato che quando qualcuno va fuori per stendere i panni, significa che è intimamente tranquillo, pacificato, senza pesi sul cuore».

Un’immagine, questa, che nel libro rimane sullo sfondo quasi tutto il tempo, ma quando si impone all’attenzione del lettore è sempre connessa alla figura di Rosetta, la cui serenità dipende solo da quella della figlia. Non so se è Agnese che vive con me o io con lei. Dopo aver desiderato disperatamente che l’amata Agnese tornasse a vivere con lei dopo un abbandono giovanile mai completamente accettato, quasi per ironia della sorte si ritrova a convivere nuovamente con sua figlia ormai adulta, proprio nel momento in cui invece vorrebbe vederla realizzata e appagata della sua indipendenza al di fuori del tetto materno. È evidente che qualcosa non va, speranze e aspettative coltivate in gioventù si sono infrante e sembra che madre e figlia siano in fondo condannate alla stessa infelicità che, come un destino inevitabile, si perpetua nelle generazioni: è la storia che si ripete, il passato che ritorna, la crudezza del reale che prorompe spietata sotto un velo di sogni e illusioni. Ma Agnese è la vita per Rosetta, che sfidando l’innaturalità delle circostanze in cui si trovano, torna ad accudirla come quando era bambina, rinnovando senza riserve l’antica promessa di essere madre, prima che donna.

Rosetta diventa l’unica custode della storia di Agnese, che lentamente sta perdendo la memoria a causa di una malattia che ogni giorno di più risucchia in un vortice di oblio la sua coscienza. Sarà sua madre a ricomporne i frammenti dispersi e a sciogliere i nodi che la tenevano imbrigliata, in un estremo e salvifico atto d’amore che riuscirà a riscattare Agnese da tutte le ingiustizie subite e la stessa Rosetta da un senso di colpa che origina proprio da quest’unica figlia, insieme sua gioia e suo dolore. La nuova dimensione di questo rapporto non può non spingere Rosetta a riaprire i conti con il proprio passato, soppesando errori, rimorsi, desideri taciuti, bisogni repressi e affetti negati, che danno spessore e profondità alla sua figura anche oltre il legame con Agnese. La convivenza diventerà quindi occasione per un’accurata introspezione, per mettersi finalmente l’una di fronte all’altra e restituirsi a vicenda tutto il tempo rubato da anni di distanza e incomprensioni.

I “panni stesi” sono allora metafora di una nuova condizione, in cui madre e figlia, nella loro intimità ritrovata, pur nella sofferenza e nella malattia, danno vita a un equilibrio imperfetto, eppure più vero e sano di quanto abbiano mai sperimentato. In questo spazio domestico nuovamente condiviso, luogo archetipico da cui si parte e in cui prima o poi si torna, quello di “stendere” i panni è un gesto come tanti, insignificante in apparenza, ma così rassicurante in quella sua ritualità che richiede la cura costante e paziente di chi si ama senza condizioni.

Delicato, tenero e struggente, I panni stesi è stato un libro che ho amato, prima che da lettrice, da collaboratrice di Gemma Edizioni, che gentilmente mi ha accolto nel suo team come tirocinante. È stato sorprendente commuovermi mentre lavoravo dietro le quinte di questo testo, osservando piano piano la sua gestazione dalla mia piccola postazione di aspirante redattrice. Pagina dopo pagina, la storia di Rosetta e Agnese mi entrava dentro e spesso mi faceva dimenticare che in una casa editrice bisognerebbe dismettere le vesti della lettrice appassionata per indossare quelle più neutrali e analitiche di chi lavora professionalmente su un testo. Proprio per questo, però, sono felice di poter dire che è stata anche una significativa dimostrazione di come emozionarsi per una bella storia sia ancora possibile e che forse è proprio questo il punto di partenza per farla amare anche ai lettori che verranno.

E speriamo davvero che i nostri lettori amino questo libro come lo abbiamo amato noi, da quando è arrivato in casa editrice grazie al concorso “Viaggi straOrdinari”, al quale l’autrice Anna Palma Ruscigno ha partecipato.

Per saperne di più sul libro, clicca su “I panni stesi”: romanzo vincitore del concorso Viaggi straOrdinari

Gemma Gemmiti“I panni stesi” – recensione di Mariachiara Catillo
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